Non ha suonato la sveglia. Uno potrebbe trovare tante scuse per essersi dimenticato una data, io invece non ne ho bisogno, di scuse. Perchè ho una verità: non ha suonato la sveglia.
Qualche giorno fa mi ero ripromesso di scrivere un post da pubblicare su questo blog il 29 dicembre 2018, a dodici anni di distanza dal primo post in assoluto (sul quale non c’è bisogno di fare commenti, ok? Era un altro mondo, un altro internet).
Mi sono detto, faccio un post di riepilogo, una roba che ci sta bene alla fine dell’anno, dove uno prende le misure di quello che ha fatto, di tutti i ricordi che ha prodotto, in se stesso e negli altri, e le robe anche difficili, le pause. E non penso di farlo parlando dell’ultimo anno, lo faccio in generale sulla vita del blog, su come sia nato fondamentalmente per provare una piattaforma, su quanto è stato importante averlo in alcuni anni, prima che facebook divorasse anche il desiderio di condividere le cose. Di quanto mi ha fatto bene che ci fosse, perchè è stato la mia prima alternativa alle immagini, il primo contenitore non fotografico in cui mettere un pezzetto del mio ego da esporre. E di quanto il mio ego fosse contento quando c’era gente che mi conosceva per via del blog, e non per tutti gli altri sforzi professionali e arrivisti sul costruire una carriera fotografica credibile. Il blog, come tutto quello che mi è capitato di scrivere non è mai stato credibile. Ed è la cosa che mi ha più protetto dalle mie manie di controllo e perfezionismo. Sempre incredibile, come mi ripeto da solo.
Insomma, io avevo impostato un promemoria, un allarme, una sirena che mi ricordasse di scrivere questo pezzo un giorno prima del dodicesimo anniversario, e di pubblicarlo per tempo, con gli squilli di tromba e le parate di odalische. Non ha suonato, giuro. Ieri sera me ne sono ricordato, improvvisamente. Sono andato a controllare, e il promemoria era lì dove lo avevo lasciato, intonso, come nuovo, mai usato. Mi guardava inconsapevole, come un piccolo labrador che si è appena mangiato 100 euro. Troppo tardi, niente anniversario.
Quello che avrei voluto scrivere sarebbe stato comunque, prima di tutto, l’ultimo post di questo blog. Perchè è chiaro che questo blog è finito da tempo, ma d’altra parte credo che un post conclusivo ci volesse, tanto per non lasciare niente di appeso.
Se smetto di scrivere su queste pagine è solo perchè c’ho voglia di scrivere altrove, e con motivazioni nuove. In effetti c’ho anche voglia di usare la scrittura e la testa a servizio di contenuti altri, ma questo è un altro discorso.
Sicuramente quello che celebra al meglio questo passaggio, questa conclusione, è l’uscita di un libro. È successo poco meno di un mese fa: ho deciso che per Natale avrei pubblicato una raccolta di racconti, brani, dialoghi, immagini, episodi. L’ho deciso come reazione alla paternità, a questo diventare finalmente adulti, che però accade così velocemente che quasi si perdono le tracce di quello che c’era prima. Però io quelle tracce non voglio perderle, almeno qualcuna va lasciata. E anche se non saprei bene come si racconta tutto quel prima in due parole, so che in questo blog c’è gran parte della storia, tutta mischiata.
Insomma, quasi tutti i contenuti li avevo già, il libro è infatti una selezione dei post usciti qui e su altre piattaforme (in generale cose già diffuse, pochi inediti). Bisognava selezionarli, editarli, impaginarli e mandarli in stampa. Ecco fatto. La cagata. Mi sono detto che facendo così, riproponendo cioè un semplice elenco di testi e foto particolarmente riusciti, avrei fatto una cosa tipo il “Best of Boccaccino Christmas 2018”, tipo Michael Bublè. E invece no, tutti quei contenuti dovevano diventare un corpo unico, dovevano interagire in qualche modo l’uno con l’altro, e soprattutto con il libro che andavano a comporre. E così tutti i testi e le immagini sono diventati le note a margine di un piccolissimo brano in apertura - un pretesto che è lì solo allo scopo di richiamarle - scritto per l’occasione. In altro parole ho pubblicato un libro fatto di note a margine. Bene, così mi interessa di più. Bublè sei un poveraccio.
Se vi va di prendere una copia del libro, a questo link trovate tutte le istruzioni.
Detto ciò penso che possiamo chiudere. Non sono dell’idea che ogni volta che si chiude una porta si apre un portone, che quello che arriva superi sempre quello che è stato. Diciamoci la verità, sono solo frasi consolatorie che si tirano in mezzo quando finisce qualcosa di bello. Qualche volta succede che si apre un portone, e qualche volta no. Per me adesso di sicuro finisce una cosa molto grande (fatevi il conto di che età avevate 12 anni fa, e come vedevate il mondo allora) e ne inizia una piccola. O forse una serie di cose piccole, perchè nuove. Ed è bello così, perchè le cose grandi prima o poi finiscono, e quelle piccole prima o poi crescono. Certo, lo capisco, chi se ne frega di una piccolezza rispetto all’enormità. Le frasi di circostanza sui portoni ci vogliono, servono proprio a questo. Però anche se nessuno se ne frega subito, la piccolezza sta succedendo. Sta lì, diventa.
Se non vi convince pensatela in quest’altro modo: non so in che momento voi state leggendo queste righe, ma adesso che le scrivo è lunedì mattina, e anche se è l’ultimo giorno dell’anno è pur sempre il primo della settimana.
Insomma, io avevo impostato un promemoria, un allarme, una sirena che mi ricordasse di scrivere questo pezzo un giorno prima del dodicesimo anniversario, e di pubblicarlo per tempo, con gli squilli di tromba e le parate di odalische. Non ha suonato, giuro. Ieri sera me ne sono ricordato, improvvisamente. Sono andato a controllare, e il promemoria era lì dove lo avevo lasciato, intonso, come nuovo, mai usato. Mi guardava inconsapevole, come un piccolo labrador che si è appena mangiato 100 euro. Troppo tardi, niente anniversario.
Quello che avrei voluto scrivere sarebbe stato comunque, prima di tutto, l’ultimo post di questo blog. Perchè è chiaro che questo blog è finito da tempo, ma d’altra parte credo che un post conclusivo ci volesse, tanto per non lasciare niente di appeso.
Se smetto di scrivere su queste pagine è solo perchè c’ho voglia di scrivere altrove, e con motivazioni nuove. In effetti c’ho anche voglia di usare la scrittura e la testa a servizio di contenuti altri, ma questo è un altro discorso.
Sicuramente quello che celebra al meglio questo passaggio, questa conclusione, è l’uscita di un libro. È successo poco meno di un mese fa: ho deciso che per Natale avrei pubblicato una raccolta di racconti, brani, dialoghi, immagini, episodi. L’ho deciso come reazione alla paternità, a questo diventare finalmente adulti, che però accade così velocemente che quasi si perdono le tracce di quello che c’era prima. Però io quelle tracce non voglio perderle, almeno qualcuna va lasciata. E anche se non saprei bene come si racconta tutto quel prima in due parole, so che in questo blog c’è gran parte della storia, tutta mischiata.
Insomma, quasi tutti i contenuti li avevo già, il libro è infatti una selezione dei post usciti qui e su altre piattaforme (in generale cose già diffuse, pochi inediti). Bisognava selezionarli, editarli, impaginarli e mandarli in stampa. Ecco fatto. La cagata. Mi sono detto che facendo così, riproponendo cioè un semplice elenco di testi e foto particolarmente riusciti, avrei fatto una cosa tipo il “Best of Boccaccino Christmas 2018”, tipo Michael Bublè. E invece no, tutti quei contenuti dovevano diventare un corpo unico, dovevano interagire in qualche modo l’uno con l’altro, e soprattutto con il libro che andavano a comporre. E così tutti i testi e le immagini sono diventati le note a margine di un piccolissimo brano in apertura - un pretesto che è lì solo allo scopo di richiamarle - scritto per l’occasione. In altro parole ho pubblicato un libro fatto di note a margine. Bene, così mi interessa di più. Bublè sei un poveraccio.
Se vi va di prendere una copia del libro, a questo link trovate tutte le istruzioni.
Detto ciò penso che possiamo chiudere. Non sono dell’idea che ogni volta che si chiude una porta si apre un portone, che quello che arriva superi sempre quello che è stato. Diciamoci la verità, sono solo frasi consolatorie che si tirano in mezzo quando finisce qualcosa di bello. Qualche volta succede che si apre un portone, e qualche volta no. Per me adesso di sicuro finisce una cosa molto grande (fatevi il conto di che età avevate 12 anni fa, e come vedevate il mondo allora) e ne inizia una piccola. O forse una serie di cose piccole, perchè nuove. Ed è bello così, perchè le cose grandi prima o poi finiscono, e quelle piccole prima o poi crescono. Certo, lo capisco, chi se ne frega di una piccolezza rispetto all’enormità. Le frasi di circostanza sui portoni ci vogliono, servono proprio a questo. Però anche se nessuno se ne frega subito, la piccolezza sta succedendo. Sta lì, diventa.
Se non vi convince pensatela in quest’altro modo: non so in che momento voi state leggendo queste righe, ma adesso che le scrivo è lunedì mattina, e anche se è l’ultimo giorno dell’anno è pur sempre il primo della settimana.