26 gennaio 2016

La cupola.

Il testo seguente fa parte di "Questo posto non esiste", una serie di brevi diari raccolti a luglio 2015, quando sono uscito pazzo e sono andato in Basilicata a vedere se era vero. 


La musica e la voce partono quasi in contemporanea, come un’unica sirena, come il tragico allarme che precede i bombardamenti. Seduto fuori la mia tenda sto lì a non pensare, e il boato mi investe con violenza e di sorpresa.
Dopo qualche notte accampato libero (o abusivo, come vi pare) mi sono fermato in un campeggio qualunque a Metaponto. Tra i tanti ho preso il primo che c'era, volendomi solo stendere e rilassarmi, senza stare a pensare a chi, mentre dormi, può venire a ucciderti, arrestarti o a pisciarti sulla tenda.

E questo mio essere campeggiatore accidentale e improvvisato, in un luogo del genere, si vede. La mia tenda è grande quanto una vasca da bagno al contrario, non ho nemmeno una sedia, o un cavo per stendere il bucato, né tantomeno un bucato da stendere. In effetti sto pagando solo per concedermi due cose che nei giorni precedenti non sono riuscito a fare senza rischiare una denuncia: montare una tenda in una proprietà privata, e farmi un paio di docce come si deve. Il mio essere approssimativo si vede, dicevo, perché sono circondato tutto intorno da un ecosistema di camper ed enormi tendoni per reggimenti che fanno pensare di essere in un insediamento permanente, abitato da gente che sarà in vacanza per sempre in tende che a vederle potrebbero avere addirittura le fondamenta.
Probabilmente, per sentirsi come se fosse davvero la loro seconda casa, i campeggiatori attrezzano e accomodano il proprio alloggio con milioni di gingilli e accessori, tubi e tendine, pentole e bacinelle, sedie pieghevoli e tavoli richiudibili, moquette, amache, materassini, piscine gonfiabili, schermi a led, parabole satellitari, basi di lancio per satelliti televisivi, moduli lunari e supersantos. E così ti ritrovi in un luogo protetto da una cupola enorme, sofisticata e invisibile. Una cupola messa lì a proteggere la routine quotidiana dei campeggiatori da ogni minima infiltrazione, ad evitare ogni fastidiosa variazione alla vita di sempre. Se ci rifletti un secondo, stai zitto e ti guardi intorno, ti accorgi che la cupola rende quell’habitat impermeabile alla vacanza.


Ad ogni modo, mentre sei lì seduto a cercare di vedere questa cupola e di apprezzare la rassicurante tranquillità che ti circonda, parte il rave. La voce è entusiasta e invita la gente ad avvicinarsi, parla a ritmo con la musica finto latinoamericana, e tutto insieme è il rito esplosivo dei balli di gruppo, celebrato ad un volume da conflitto termonucleare.
Mi alzo in piedi e guardo nella direzione da cui proviene il tutto. Non vedo niente e decido di avvicinarmi, convinto che, come al solito, il mio relativismo mi farà giustificare anche questo.
E invece dev’essere successo qualcosa ultimamente, perché quel relativismo a cui sempre mi ero affidato comincia a vacillare, e arrivato di fronte ai balli di gruppo, partecipati esclusivamente da bambine e da qualche over 50, lo sconforto mi prende.
Un semicerchio di famiglie monofiglio stanno sedute a tavolini di plastica vuoti. Il padre al cellulare, il figlio pure, la madre guarda chi balla e muove le spalle, non volendo arrendersi al fatto che anche quest’anno le vacanze non rappresenteranno alcuna rivincita sulla vita (né tantomeno sul resto dell’anno).
Calci e pugni all’aria, piroette e ancheggiamenti, tutto lentissimo. La musica e la voce dell’animatore sono ovattate e indistinguibili. Manca solo che mi si annebbi la vista. Un paio di minuti di realtà in slow-motion valgono come una settimana, così mi giro e mi allontano.

Tornando dalle parti della mia tenda (che quasi devo cercare con le mappe, non riesco mai a ricordarmi dove sia), imbocco uno dei vialetti tra i camper e gli oleandri. È una stradina corta e buia, sicuramente è quella sbagliata, ma non posso ancora dirlo perché non si vede una mazza. Un’unica luce in fondo, sparatissima, permette di distinguere la sagoma di una signora bassina che si avvicina. Come molti, a quell’orario raggiunge la sorgente della musica alle mie spalle, per stare seduta anche lei, con il suo vestito nero a fiori, ad un tavolino di plastica bianca di fronte al bar guardando la gente che balla come se fosse la televisione.
La sagoma della donnina mi si avvicina e sembra non voglia affatto procedere oltre. La osservo camminando sempre più lento, fino a fermarmi nel buio e nella musica lontana. Forse la spaventa trovarsi davanti un tipo minacciosissimo come il sottoscritto, in un vialetto di un campeggio male illuminato. Non faccio in tempo a pensarlo che lei mi smentisce, avvicinandosi sicura e con un sorriso malizioso. La saluto, cercando complicità. Lei mi fa cenno di abbassarmi, come se volesse sussurrarmi all'orecchio qualcosa, e a voce sommessa mi domanda:

- La vuoi anfetamina?

Sgrano gli occhi d’un colpo. Non tanto per poterla vedere meglio, ma piuttosto per metterci dentro tutte le risate che sono costretto a trattenere. Mica puoi scoppiare a ridere in faccia a qualcuno così avanti negli anni. Non si fa. Cerco di guardare brevemente oltre, per capire da dove sta arrivando questa donnina, ma non vedo niente di insolito, ci sono tende e camper al buio, con qualche lampadina accesa all’interno. Un po' oltre si intravede qualche tv accesa e una luce per le zanzare. Poi i pini finiscono e comincia la cupola invisibile. A quel punto inizio a temere di non avere la più pallida idea del posto in cui mi trovo.

- Non sono sicuro di aver capito signora, lei mi sta offrendo delle anfetamine?
- No, che offrendo. Te le vendo!