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(Questo pezzo è uscito su Medium il 22 Ottobre 2015, ma a quanto pare l'ho scritto sempre io, quindi da oggi è anche qui)
- - -(Questo pezzo è uscito su Medium il 22 Ottobre 2015, ma a quanto pare l'ho scritto sempre io, quindi da oggi è anche qui)
La guerra fredda è finita, e da tempo siamo tutti ritornati al calore delle guerre di sempre.
Ormai
è da tanto che non si può più fare la guerra dove non muore nessuno, o
dove si fa finta che non muoia nessuno. Si è dovuto tornare al tran tran quotidiano, alla routine dei missili lanciati e dichiarati. Tutto
quello che è successo subito dopo la caduta del muro di Berlino
dev’essere stato, nel mondo militare, come un lungo lunedì mattina dopo
che ti ha mollato la ragazza. Un lunedì mattina in cui si torna, senza
essere veramente pronti, ad una vita consueta, conforme, mediocre. In
cui si rientra nello stesso ufficio di sempre, con la stessa
tappezzeria, le stesse pratiche, gli stessi piani di volo classificati,
nessun nemico da poter chiamare tale e migliaia di depositi munizioni
pieni. La guerra fredda è finita, e dobbiamo farcene una ragione.
Proprio nel tentativo di farcene una ragione arriva in pompa magna un’esercitazione colossale della NATO,
che qualcuno (gli americani) annuncia come la più grande dalla caduta
del muro di Berlino, qualcun altro (il Media Center NATO, che poi alla
fine so sempre americani) dice la più grande da 13 anni, e qualcun altro
ancora (tutti quei pochi che non sono americani) non dice niente, forse
perché una parola è troppa e due sono poche.
L’Alleanza
Atlantica ha deciso l’anno scorso di rinforzarsi, integrarsi, e
crescere, per far fronte al clima di enorme tensione e di pericolose
minacce che si sta creando con la sua ex.
Gli
U.S.A. e l’Unione Sovietica una volta si facevano la guerra con lo
sguardo, in silenzio e in punta di piedi, con la paura di far partire
qualche missile atomico per sbaglio. E tutte queste occhiatine, questi
ammiccamenti, tutto questo flirtare da lontano e da vicino hanno sempre
funzionato, con equilibrio, tanto che abbiamo ancora un pianeta su cui
vivere, grossomodo.
C’è
da dire che in quegli anni, però, i vertici americani e quelli
sovietici stavano lì a desiderarsi e a soffrire, in tutto questo gioco
di guerra non guerra, come una coppia di innamorati sedicenni costretti
dal pudore delle proprie famiglie a non fare l’amore. Va bene, ok, siamo
qui a guardarci storto senza fare niente perchè altrimenti poi finisce
che estinguiamo il genere umano… però che palle! E fu proprio questo che palle che
col tempo portò il loro rapporto a logorarsi, i sentimenti a cambiare,
sbiadire, e la tensione — una volta altissima — a scendere. E tutto,
inesorabilmente, finì.
È
stata dura lasciarsi alle spalle così tanto. È stata dura reinventarsi
da zero, ricostruire una propria identità senza quel riferimento che
tanto li aveva fatti crescere insieme. Certe cose non si dimenticano, e
così arriviamo ad oggi.
Dopo più di 25 anni gli americani e i russi hanno capito che i missili atomici ormai non partono più.
In fondo li hanno sempre comprati per tenerli lì, ad evitare che gli
altri usassero i propri. E si sono resi conto, finalmente, che passare
la vita aspettando di usarli è una perdita di tempo, e di opportunità.
Si può tornare, invece, molto prima insieme, a farsi fare l’amore dalle
infermiere, a farsi una guerra come tutte le altre, quella che ti spari e
ti dai fuoco a vicenda, quella che invadi e bombardi, senza
necessariamente arrivare alle armi definitive.
Secondo me si sono telefonati e si sono detti:
- Ehi…
- Ciao.
- Come stai?
- Mmh, bene, direi bene. Tu?
- Sto bene, un po’ in recessione, ma ok.
- Non ci sentiamo da un sacco…
- Sì lo so, è tanto tempo, e in effetti per questo ti ho chiamata.
- Immaginavo.
- È una situazione molto strana, risentirti. Cioè, sono un po’ nervosa, ma in effetti non mi sento veramente a disagio.
- Mi devi dire qualcosa?
- Non lo so… è che in tutto questo tempo… è stato difficile. Cioè, io lo so che non è cambiato niente da Berlino, ma in questi anni ho provato a convincermi di sì, che era diverso, che non eri più importante.
- Sì, capisco. È brutto quando tutti quelli intorno ti dicono che è finita, che devi guardare avanti, ma tu sai che non vuoi.
- Esatto! E da quel giorno non ho più potuto nemmeno considerarti esplicitamente nemica, e non sai quanto ci ho sofferto.
- Anche io.
- …
- …
- Magari potremmo ricominciare. Cioè, tutta quella storia delle testate atomiche rimane sempre valida…
- Sì certo, quelle non le toccherei.
- Già. Però è stata molto pesante. Cioè è bellissima, ma in qualche modo ci immobilizza. Io voglio vivere di te in un modo nuovo. Io ti voglio fare la guerra, ancora.
- Sì, anche io lo vorrei tanto. Ci dev’essere un modo per ritrovarsi senza arrivare a quegli estremi, a quelle discussioni senza ritorno…
- C’è un modo, di sicuro. Perché sento che la nostra voglia di romperci il culo è comunque più grande dei limiti che ci siamo dati. E non sta scritto da nessuna parte che non ce lo possiamo rompere lo stesso, quel culo, senza infrangerli, quei limiti.
- Sì, ma ne saremo capaci?
- Non lo so. Ma in queste cose, sai, bisogna sempre seguire il cuore.
- Ehi…
- Dimmi.
- Mi manchi.
- Anche tu.
- Ciao.
- Come stai?
- Mmh, bene, direi bene. Tu?
- Sto bene, un po’ in recessione, ma ok.
- Non ci sentiamo da un sacco…
- Sì lo so, è tanto tempo, e in effetti per questo ti ho chiamata.
- Immaginavo.
- È una situazione molto strana, risentirti. Cioè, sono un po’ nervosa, ma in effetti non mi sento veramente a disagio.
- Mi devi dire qualcosa?
- Non lo so… è che in tutto questo tempo… è stato difficile. Cioè, io lo so che non è cambiato niente da Berlino, ma in questi anni ho provato a convincermi di sì, che era diverso, che non eri più importante.
- Sì, capisco. È brutto quando tutti quelli intorno ti dicono che è finita, che devi guardare avanti, ma tu sai che non vuoi.
- Esatto! E da quel giorno non ho più potuto nemmeno considerarti esplicitamente nemica, e non sai quanto ci ho sofferto.
- Anche io.
- …
- …
- Magari potremmo ricominciare. Cioè, tutta quella storia delle testate atomiche rimane sempre valida…
- Sì certo, quelle non le toccherei.
- Già. Però è stata molto pesante. Cioè è bellissima, ma in qualche modo ci immobilizza. Io voglio vivere di te in un modo nuovo. Io ti voglio fare la guerra, ancora.
- Sì, anche io lo vorrei tanto. Ci dev’essere un modo per ritrovarsi senza arrivare a quegli estremi, a quelle discussioni senza ritorno…
- C’è un modo, di sicuro. Perché sento che la nostra voglia di romperci il culo è comunque più grande dei limiti che ci siamo dati. E non sta scritto da nessuna parte che non ce lo possiamo rompere lo stesso, quel culo, senza infrangerli, quei limiti.
- Sì, ma ne saremo capaci?
- Non lo so. Ma in queste cose, sai, bisogna sempre seguire il cuore.
- Ehi…
- Dimmi.
- Mi manchi.
- Anche tu.
Tutto si svolge in questi giorni tra Italia, Spagna e Portogallo, che mettono a disposizione le principali location per le varie attività. Fino ad ieri, per le scorse due settimane, è andata avanti una prima fase, principalmente strategica e di pianificazione. Da ieri si è partiti col movimento truppe, le attività aeree, gli sbarchi anfibi, i paracadutismi, il tiro al piattello, la caccia alla volpe e altre cose che tutti noi in fondo vorremmo andare a vedere.
Un
paio di giorni fa sono stato alla base aeronautica di Birgi, Trapani,
dove c’è stata la giornata inaugurale dell’esercitazione. Mi aspettavo
di non vedere molto, in fondo era solamente un’insieme di conferenze
stampa, inni, fanfare e sorvoli aerei. Devo ammettere che, tutto
sommato, non mi sbagliavo affatto.
Anche
se i livelli di sicurezza erano molto alti e la presenza di fucili con
dei soldati dietro era continua, la percezione era comunque di non
essere in un luogo dove stesse accadendo qualcosa per davvero. Nemmeno
una vera esercitazione, intendo. In queste situazioni, voglio dire, in
questi giorni aperti ai media, il centro di tutto non sono nient’altro
che i giornalisti. Tu sei il loro obiettivo della giornata, la loro
attività principale, il che è paradossale perchè dovresti andare lì a
vedere e raccontare quello che stanno facendo. E quello che stanno
facendo sei tu.
Dopo essere stato perquisito all’ingresso vieni fatto salire su uno di tanti bus che portano i giornalisti in vari luoghi di questa base gigantesca, e in ogni momento sei in un tour dal protocollo rigidissimo, tempi definiti al minuto, luoghi recintatissimi e sorvegliatissimi, e ti vengono promesse enormi attrazioni. Tipo Jurassic Park, in effetti. Solo che le attrazioni in questo caso sono robe tipo il Sottosegretario alla Difesa, o i vari Generali e i Capi di Stato Maggiore, oppure un sorvolo di aerei in formazione che disegnano nel cielo la scritta “Forza Juve”, o una serie infinita di caccia da combattimento in mostra, oppure — quello che mi sa costituiva l’analogo del tirannosauro — il vice segretario generale NATO, l’ambasciatore Alexander Vershbow, che poi sarebbe uno di quelli che non fa paura, almeno finchè non parla. E in questa occasione deve parlare un sacco.
“Siamo
molto preoccupati della crescita militare della Russia. Le
concentrazioni crescenti di forze militari a Kaliningrad, sul Mar Nero e
ora anche nel Mediterraneo Orientale pongono in effetti alcune
ulteriori sfide che bisogna prendere in seria considerazione, visto
l’impegno che stiamo assumendo nel difendere ogni alleato da ogni tipo
di minaccia. […] Alcuni esperti discutono della cosiddetta capacità “Anti-Access/Area Denial”
che la Russia sta sviluppando. E questo è in effetti un fattore chiave
nello stabilire quando sarà necessario sia difendere un paese alleato, sia dissuadere la Russia anche solo dal pensare azioni aggressive contro la NATO”.
E
quando, immediatamente dopo queste parole, viene chiesto al
Vicesegretario Nato una spiegazione sullo scenario immaginato per questa
esercitazione (un grande paese nemico che occupa un piccolo membro
dell’Alleanza), e sul perché è così difficile ammettere che questo
grande paese sia la Russia, lui, dopo aver negato tutto il negabile
sull’identificazione dell’aggressore fittizio, aggiunge:
“Questo
non vuol dire che alcune delle minacce che stiamo considerando e per
cui stiamo testando le nostre forze non siano analoghe alle sfide che
affronteremo… uhm, affronteremmo!, se avessimo un conflitto con la
Russia”.
Alla
cerimonia di apertura sono stati invitati diversi osservatori esterni.
Ci sono ad esempio delegazioni da Messico, Brasile e Colombia, come sono
presenti anche diversi rappresentanti di industrie belliche (a proporre
immagino l’ultimo aggiornamento di missile a lungo raggio, il modello
6s, che fa esattamente quello che faceva il 6, solo che è più potente,
più sottile e più leggero e costa il doppio).
E poi in un angolo, tra gli altri invitati, c’è anche la Russia,
appoggiata al muro e tutta impegnata a nascondersi sotto il cappuccio
della felpa, alle spalle di persone e telecamere. È venuta, ci ha
pensato fino all’ultimo se esserci o meno, e alla fine è lì. Defilata,
ha passato tutta la mattina confondendosi timida tra i tanti giornalisti
e visitatori. Ma quando in quel momento si è sentita nominare, quando
ha ascoltato quelle parole che davanti a tutti non potevano suonare più
esplicite di così, si è sciolta dentro. E commossa nel fondo della sala
si è abbandonata ad un sorriso emozionato e libero, mentre gli occhi,
inarrestabili, si gonfiavano di lacrime.