15 gennaio 2014

Saluti e baci.


È ormai risaputo che quando vai a Milano per lavoro la gente che incontri non ti saluta, ti briffa. Il briefing è questa meravigliosa pratica nordoccidentale che consiste nel darti tutte le indicazioni del lavoro che stai per svolgere, i tempi, la logistica, le ragioni e le aspettative del cliente (e quelle di più o meno tutti i responsabili di tutti i settori - e dei loro familiari a ritroso fino alla quarta generazione), prima che tu possa capire veramente di che cosa state parlando. In pratica ti si dice tutto prima, e dopo di che sono cazzi tuoi, io te l’avevo detto. Il briefing, così, viene fatto passare come uno strumento che contribuisce alla chiarezza e all’efficienza della baracca, ma tutto sommato certe volte è solo un passaggio di responsabilità e ansie da prestazione - secondo la sempreverde prospettiva del fine che giustifica i mezzi, dove il fine ce lo mette chi si congeda dicendo “buon lavoro” e i mezzi chi aveva detto ancora soltanto “buongiorno”.

- Ciao, sono Roberto, il fotografo, mi sai dire dove posso trov…
- Ah, Roberto! Vieni che ti faccio vedere tutto. Allora qui è dove ovviamente ci sarà la sfilata, i modelli sono 35. Tu non lavorerai qui, ma sarai nel backstage, lì dietro. Ci sarà un po' di delirio, devi stare attento perché ci sono cose che succedono un po' ovunque e a volte contemporaneamente. Tu l’hai portata l’ubiquità, sì? Ottimo. Lì i modelli passano prima per i capelli e poi per il trucco, poi provano gli abiti, glieli aggiustano, poi fanno una prova generale che devi fotografare senza esserci, mi raccomando, poi c’è il delirio con i giornalisti del mondo, poi cacciano i giornalisti e i fotografi e i cameraman - tu mi raccomando sii bravo e non ti far cacciare con gli altri - poi si comincia e dura solo 10 minuti e poi c’è il party, tu ci vieni al party?
- Credo di sì…
- Ottimo! Ah, sappi che qui dentro qualunque cosa si muove è gay.
- Tutto quello che si muove?
- Esattamente.
- Ah ok. Ma tipo anche quel ragazzo lì che ci prova con la truccatrice?
- Non ci sta provando, è gay.
- Quel cagnolino al guinzaglio?
- Gay.
- Quel ventilatore?
- Gay.
- Quello con la maglietta con su scritto “non sono gay”
- Gay anche lui, e quella è una canottiera.
- Ma quindi sarò gay anche io… Cioè io devo muovermi, devo girare, mica posso stare fermo.
- Chi si ferma è perduto amico mio.
- Ma come? Ma sta cosa la dite pure in America? 
- Soprattutto in America.

E quasi alla fine di questa mia trasformazione da essere umano a essere briffato - e gay, necessariamente - viene fuori che in quell’occasione ci sono degli ospiti speciali. Una rock band americana che è andata in giro per quarantanni a fare il panico con la faccia pittata senza che nessuno gli dicesse niente. I Kiss.
- I KISS, si scrive tutto maiuscolo, è americano.
- Ma tu che ne sai?
- Sono americano.
- No ma dicevo che ne sai che io lo scrivo… cioè stiamo parlando… vabbè, lascia perdere…
- No, io non lascio mai perdere, sarebbe troppo facile, io vinco. Sempre.
- America...
- Già.
E la presenza di questi KISS mi farà realizzare quasi subito di non avere troppo idea di quello che sto facendo, con chi ho a che fare. In effetti non so nemmeno i nomi. Mentre tutti intorno a me chiameranno ogni singolo componente per nome, io, dopo aver provato a capire e testare dei casuali Ken, John, Mark, sarò costretto a dargli indicazioni per le foto con un approssimativo, ma funzionalissimo, "ehi tu". Insomma sì, li conosco, ma mica pensavo avessero tutto questo ascendente sul mondo. Dopotutto sono anche molto invecchiati, c'avranno quasi settantanni e senza trucco uno assomiglia a mio zio Bernardo e un altro, cosa ancora più triste, è uguale a mia zia Elena, la zia di Arezzo. Quindi mentre loro sono tutti immersi in questa atmosfera di reverenzialità, rispetto e rocchenroll (del tipo ti saluto con un inchino, poi ti faccio le corna con la mano in alto e la lingua di fuori e nel frattempo i gorilla intorno uccidono a pugni in faccia fan e giornalisti) io non potrò fare a meno di pensare che uno di loro è mio zio Bernardo con la parrucca.

Dopo la prima oretta immerso in questo posto surreale che è il backstage di una sfilata di moda (maschile, mio malgrado) mi rendo conto che la maggior parte dei volti che mi circondano non sono di carne e ossa. Sono troppo belli e troppo esili, talmente puri che finiscono con l’essere inconsistenti. Praticamente sono circondato da pagine di Vogue Uomo che camminano e si strusciano e si accartocciano stanche sul pavimento e vengono di nuovo tirate su, lisciate e messe in fila. E tutto il casino intorno è soltanto un gran fruscio di pagine, di fogli di carta. E mi chiedo quali siano le loro vite sul serio, al di là di questi origami momentanei che sono le sfilate. Cioè, ad esempio - e mi si perdoni l'ovvietà dell'esempio - ma questa gente caga? Perché a vederli così non si direbbe. Sembra non possa essere possibile che tanta bellezza, tanta purezza e tanta inconsistenza possano essere fonte di puzza, avere un collegamento, seppur assolutamente indiretto, col mondo delle fogne. È difficile da immaginare, da accettare. Io fossi in loro non lo potrei mai accettare. Ma fortunatamente io non sono il loro, sono in me, ed è da che sono entrato che ho bisogno del bagno. Avevo provato pure a chiedere dove fosse, all’inizio, e quello non mi ha fatto nemmeno parlare. Così decido di prendermi cinque minuti per me, come gli uomini contemporanei e alla moda che sanno come volersi bene, e chiedo ad una tipa ferma da una parte (quindi presumibilmente eterosessuale) dove posso trovare una toilette. In quel momento, proprio in quel momento, arrivano i KISS circondati da un circo di gente impazzita, lasciando presagire per il sottoscritto un resto di serata pieno, intenso e a tratti confuso.

2 commenti :

Unknown ha detto...

complimenti.

Unknown ha detto...

Complimenti per come hai preso per il ... il mondo della moda milanese, con raffinatissima ironia. Bravo Roberto.