3 gennaio 2014

la spiaggia cortese.


Questa casa pende. In realtà non pende tutta la casa, e quello che pende non lo fa da un lato solo. Sembra che alcuni pavimenti siano inclinati - poco - da una parte, mentre altri scendano verso il versante opposto, e se si tenta di mettere alla prova la gravità, si vede una biglia rotolare verso un angolo dell’ingresso, mentre un’altra si va a nascondere sotto il letto della mia stanza. Finisce che la gravità continua ad averci ragione, checché ne dicano i solai. È un po' come abitare nella casa di Escher, con la differenza che questa vale molto meno.
La mia stanza affaccia su quello che chiamare cortile interno, o corte, sarebbe piuttosto fuori luogo, visto che effettivamente di cortese ha ben poco. È uno spazio spigoloso e ruvido, nato alle spalle di palazzi tirati su tutt’intorno, e dà l’idea, quasi da subito, di essere lì per coincidenza. Come se avessero costruito il centro storico di questa città partendo dai prospetti dei palazzi sulle strade, e rendendosi conto dopo che dall’altro lato (dal lato che non affacciava da nessuna parte) quegli stessi palazzi avrebbero pure dovuto finire. Insomma c’era altra gente che stava costruendo altri palazzi, affacciati su altre strade, che pure avevano una schiena da dare a qualcosa. E così una volta costruiti tutti gli affacci, arretrando sempre più, ci si è ritrovati con un sacco di retri di palazzi vicini, ammassati, sovrapposti, ed evidentemente imprevisti.
Molti anni dopo sono arrivato io e tutte le mattine apro i vetri del mio piccolo balcone, trovando questo spazio a cui nessuno aveva veramente pensato, con una forma che nessuno gli ha mai dato per davvero e, cosa ancora più importante, senza alcun ruolo che gli sia stato mai attribuito - se non quello, appunto, di fine dei palazzi che nel frattempo continuano ad affacciare altrove.

In questa città le cose cominciano senza sapere come - e spesso dove - andranno a finire. Anzi, senza sapere proprio che andranno a finire. Poi quando ce ne si accorge, che finiscono, non è un gran problema, si lasciano così come sono finite. Anche se non lo sono affatto, finite. Anche se sono infinite, si lasciano. Il mare, infatti, l’hanno inventato a Palermo. E con il mare hanno inventato anche il mio piccolo balcone e l’insolito spazio su cui affaccia, che in realtà a questo punto inizieremo a chiamare spiaggia. Una spiaggia dove a un certo punto il mare si è trovato a finire, arretrando forse da cose meravigliose e terribili, da tempeste, sirene, balene e pirati. Le spalle di questo mare che di fronte non finisce mai, anche se sicuramente inizia, dove nemmeno si vede.

Scommetto che a Parigi le case del centro storico non hanno nessun dietro. O forse ce l’hanno, e magari sarà stata la prima cosa del palazzo ad essere costruita, in modo da non dimenticarsene. Immagino che a Parigi non ci sia niente che viene lasciato così per com’è, chiedendosi quale sia il principio, perché ovviamente il principio sarà sempre il punto da cui si comincia, sia esso spiaggia o tempesta. Il principio in fondo lo si può anche decidere, e così le spalle al muro, il limite oltre il quale non si può più indietreggiare, possono essere anche un punto di partenza. Dopotutto a Parigi hanno inventato la rivoluzione.

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