6 aprile 2012

iva. (forse una lettera d'amore a)


caro stato italiano,
è ormai passato ben più di un anno da quando mi invitasti a conoscere la tua concubina favorita, della quale saggiai i servizi rimanendone schiavo. iva.
era il 14 febbraio e celebrai l’amore abbandonandomi tra quelle braccia. e l’agenzia delle entrate è forse il posto meno romantico di questa vita, ma è lì che io decisi di fare una delle cose più sognanti. decisi, caro stato, di darti uno stipendio. e mi iscrissi, e conobbi iva e poi inps e poi tutto il circo e io firmo, sottoscrivo.
caro stato, sottoscrivo che voglio davvero pagarti lo stipendio, e non me ne lamento. non fraintendermi che questa mia non è niente di più lontano da una lettera di lamentele. è piuttosto una lettera d’amore, che in fondo quel giorno era san valentino. è una lettera dove ti dico che io inizierò a prendermi cura di te, come tu di me. ci sarò quando ne avrai bisogno e ti sosterrò. e tu farai lo stesso. finchè sorte non ti separi.
caro stato, io mi auguro e mi rassicuro che tutto vada per il meglio e che questo stipendio che ti pago sia ben riposto. nemmeno ci dovrò pensare al fatto che pago le tasse, come non ci ho mai pensato. e te lo dico perchè ho un pò paura ora che giugno si avvicina, e a giugno finiscono le cose. tipo i soldi.

ti pagherò lo stipendio ma non mi avrai mai. pagherò per iva e tutto il circo, pagherò per l’amore, ma mai te ne darò. tutto quello che ci farai con i miei soldi non costituirà mai la mia vita. siine consapevole, caro stato, che per quanto alto tu possa avere e pretendere, in futuro, il tuo stipendio, non riuscirai mai a costruirmi la vita. non illuderti di potermi dare la felicità, e non tentare nemmeno di convincermene. quello che puoi fare tu, oggi è sempre, è metterci il contenitore, la scatola, e io ci metto il dentro.
quello che poi vorrò da grande sarà soltanto essere contento delle reti e dei cuscini intorno a me, che bene o male a sbattere forte non ci vai mai, anche se corri. perchè io da grande voglio poter continuare a correre, e te lo comincio a dire da adesso. ti pago un salario, ti mantengo, ti nutro e ti faccio crescere. e voglio che tu cresca, mio contenitore vuoto, mio amore a pagamento, che ci dev’essere sempre più spazio per correre. e se sarà uno spazio vecchio e pieno di niente sarà meglio. un vecchio capannone che una volta è stato qualcosa e adesso è solo memorie e desideri.
il salario che ti pago serve affinché il vuoto e il vecchio non spaventino, perchè la struttura sia forte e sicura e regga i nuovi mondi tuttintorno.

caro stato, il tuo essere participio passato non ti sarà da alibi. che di presente e di futuro ti voglio pieno.

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